Archetipi
Dell Silenzio Imperfetto
CE Contemporary
Emozione/Immaginazione/Verità, ovvero una percezione dell’opera subordinata all’immaginazione e all’emozione, che, nella ricerca di una verità fondante dell’arte, nega il primato dei sensi sulla verità dello spirito. Distinzione delle parti, separatio come operazione necessaria per nominare le forme dell’interno domestico come riflesso della nostra psiche. Solo attraverso questa operazione l’io recupera la sua unità all’interno del recinto casa- anima, nominando e identificando le singole parti dell’abitare attraverso i nomi, le figure e le immagini delle opere che ne compongono l’insieme. Una definizione delle parti per immagini e non per concetti, dando vita alle cose per il predominio di un’arte dell’espressione su un’arte della rappresentazione. Uno spazio immaginale popolato di innumerevoli figure nate da un automatismo psichico-psicotico, ovvero dalla nevrosi intesa come un percorso di conoscenza dell’indicibile. Pittura vs fotografia dunque, eccetto il caso in cui la fotografia, analogamente al disegno, venga vitalizzata da una costruzione basata unicamente sulle personificazioni di un automatismo concettuale, attraverso un universo policentrico di immagini non verbalizzabili, collocate in una molteplicità di figure spazio-temporali.
Come ricondurre quindi ad unità il conflitto tra psiche e spirito? Perché due autori, per esempio, esprimono mondi differenti, attraverso modalità estetiche differenti, pur nella contiguità spazio-temporale della loro esistenza terrena? Cosa li rende diversi, antagonisti nell’espressione del loro dettato emotivo e artistico? Cosa si trova alla base dell’opera di un autore? Sono solo fatti autobiografici, geografici, o peggio, biologici che ne giustificano le scelte? Oppure... La stessa domanda ce la poniamo quando ci chiediamo cosa troviamo all’origine delle scelte di un collezionista, all’origine dell’allestimento di uno spazio domestico che ha tutte le caratteristiche di una proiezione del conflitto in atto tra la sua anima e il suo universo immaginale. Ricordo vs Memoria? A quale bacino di immagini attingiamo per orientarci nel mondo delle cose, a quali ricordi personali, piuttosto che a quelli di una memoria collettiva, che condividiamo con l’intera umanità, e forse non solo con quella? Domande senza risposta. L’immagine del cuore vs l’immagine della mente: “... Sarà dunque qualcosa di più profondo dell’occhio, da cui tutto dipende, che il mosso mette avanti e va a toccare, presso il fotografo e presso coloro che vi sono sensibili. E’ l’occhio in quanto corpo, l’occhio che fa corpo con il paesaggio, l’occhio-corpo e il suo paesaggio, l’occhio-corpo quello di cui parla Merlau-Ponty nei suoi ultimi scritti e quello che Deleuze ispirato da Bergson evoca nei suoi libri sul cinema. L’occhio dello spirito celato nella materia...” (Alain Bergala) . Arte come Metaxy, come soglia che separa terra e cielo? Narrazione come figura e figura come narrazione, scrittura come immagine o immagine come scrittura. Narrazione come epica del Ritorno, del Ritorno dell’Essere, laddove la conoscenza di Sé è intesa come percorso non mai finito: “...Qui il conosci te stesso è della natura della rivelazione, non-lineare, discontinua, come un dipinto, una lirica o una biografia completamente assorbita dall’atto dell’immaginazione...vedere una parte è tutto ciò che c’è da vedere e ciascuna immagine è il proprio inizio e la propria fine...”(J.Hillman)
Molti dei linguaggi contemporanei nascono proprio da questi particolari atteggiamenti borderline. Ma quali. sono i'caratteri stilistici 'della' maison', il linguaggio che anche nel mondo contemporaneo ci consente di individuare una nota dominante in questi interni domestici? Innanzitutto il tendenziale abbattimento delle gerarchie funzionali ed estetiche, una democratizzazione degli spazi e dei tempi, poi una netta predilezione per quello che potremmo definire un'existenz maximum', ovvero un deciso rifiuto per il rigore calvinista e una predilezione per l'arredo ecclesiastico e cattolicheggiante. Inoltre una sorta di extra-temporalità, il rifiuto di uno stile d'epoca, e una predilezione per il metissage e per l'iperdecorativo, l'inutile e il blasfemo, ordinati secondo una logica autoreferenziale. Infine l'introduzione della teatralità, la ricerca della mise-en- scène, del 'coup de théâtre', dello spiazzamento allusivo, dello spostamento continuo del piano di percezione del mondo domestico, allo scopo di creare una sorta di sdoppiamento tra due livelli di realtà differenti. Interni dal tocco eccentrico. Eccentricità come stile di vita. Dalla home sweet home alla total home, dallo shelter alla dimora, la casa diviene lo scenario di una messa in scena per un unico spettatore, attraverso l’abbattimento delle gerarchie funzionali, attraverso la scomodità e la ‘sgradevolezza’, grazie al contributo del design alla sparizione dello spazio domestico.
L’ oggetto negato, ovvero l’oggetto domestico come ‘machine celibataire’: la casa progettata da Rietveld a Utrecht nel 1924 per una giovane vedova, Truus Schröder, è rapidamente assurta a ruolo di icona avanguardistica delle poetiche del novecento, in particolare di quella neoplastica del movimento De Stijl. Troppo nota per poterne parlare serenamente, al primo sguardo appare come una rosa in un mazzo di carciofi, (o viceversa, dipende dai punti di vista). Una strana creatura appoggiata sul bordo terminale di una lunga fila di caseggiati in stile. Tanto sconcertante da far pensare a Madame Schröder , verso la fine dei suoi anni, di abbatterla. In ogni caso questo strano oggetto, che in quanto architettura avrebbe anche, tra le altre cose, il dovere/diritto di dialogare con il contesto urbano in cui è inserita, può essere considerata la capostipite di quel particolare modo di concepire il progetto, che potremmo definire come una forma di autoritarismo narcisistico, una malattia dell’ego che nasce dal complesso demiurgico degli architetti razionalisti, ereditata da molti autori contemporanei. L’oggetto in se è di straordinaria bellezza, ma andrebbe concepito come una scultura, un vaso, che ne so, un portacenere, e completamente isolato dal contesto con cui certamente non è in grado di dialogare. Stesso discorso vale per gli interni, e qui si capiscono meglio le ragioni della Signora, che, vedova con due figli, pur se ricca, forse dopo diversi anni di esperienza De Stijl, avrebbe probabilmente desiderato un luogo più confortevole dove concludere i suoi giorni. Immaginatevi di vivere dentro un’installazione di Beuys o di Luciano Fabro o in un Igloo di Mario Merz.