Wittgenstein a casa mia.
Massimo Negri
E’ venuto a trovarmi diverse decadi orsono e si è annidato tra i dieci libri (più o meno) che devo avere sempre a portata di mano, collocati in uno specifico angolino della mia bibliotechina.
Non ho mai letto il suo “Tractatus” dall’inizio alla fine, neppure una volta, ma moltissime l’ho compulsato. Sono rimasto attaccato alla copia anastatica di quella inglese originaria del 1922 (pubblicata da RKP) con introduzione di Bertrand Russell. Non sono un filosofo e neppure un intellettuale di professione e dunque mi è bastata. Mi sono tenuto distante dalle “Ricerche filosofiche” perché non volevo e non voglio che i suoi ripensamenti, a volte radicali, mi rendano ancora più ostiche le vette del “Tractatus”. Le frequento in questa occasione in quanto mi sento tra amici e non oserei mai fare citazioni tanto ardue in pubblico. Dunque, a proposito di Silenzio Imperfetto richiamo due postulati di cui mi sono avvalso recentemente per una rivista polacca di museologia, onde sganciarmi dall’obbligo compilativo della storia dei musei. Dopo la traduzione in italiano di Pomian è un esercizio inutile: ha detto tutto lui e l’ha fatto magnificamente.
L ‘ipotesi di lavoro di questa edizione di HoperaAperta ha certamente a che fare con l’idea (se non con la pratica) di museo.
Dicono infatti i curatori: “La Casa del Silenzio Imperfetto è quindi il risultato della stratificazione di tre diversi valori che compongono una collezione d’arte: l’involucro architettonico, la sua capacità di riflettere positivamente il sistema di relazioni che lega le singole opere, l’insieme degli oggetti che ne delineano l’orizzonte funzionale anch’essi chiamati a concorre alla qualità ambientale della casa...”
Involucro , molteplicità delle funzioni, collezione, ordinamento , ostensione: gli eterni ingredienti della breve storia del museo moderno. Ma torniamo ai postulati, eccoli:
4.12.12 what can be shown cannot be said
7.Whereof one cannot speak, thereof one must be silent"
Il numero 7 è l’ultimo enunciato del libro di Wittgenstein . Lo riporto in inglese perché non so il tedesco e perché fu approvato dall’autore, quindi devo ritenere riflettesse il suo pensiero. E poi gli anni di Cambridge sono stati i suoi fondamentali e immagino avrà pensato in inglese. I due enunciati sembrano appropriati per il tema di questa nuova edizione della avventura Hopera Aperta, che sempre mi invita generosamente a partecipare da amatore quale sono: non sono neppure designer o creatore di contenuti , come si dice oggi. Appropriati, perché? Il 4.12.12 sta alla radice del nostro tema: la specificità ed unicità del linguaggio espositivo nel novero degli strumenti comunicativi a nostra disposizione, quelli del nostro tempo. In volgare: si espone quando non si hanno altre possibilità espressive. Marx diceva che il “Paradise Lost” sta a Milton come il filo di seta al baco, è nella loro natura secernere, l’uno i versi l’altro il filo. Questo avviene anche indipendentemente dalla disponibilità di un pubblico, questo avviene ancor più nel momento in cui alla umanità è consentito di avere un pubblico anche se non vuole (Internet) , e di essere costretta – in piena libertà, intendiamoci – a reagire se vuol provare provare a sé stessa di esistere, versione digitale della"obligatory expression of feelings" brillantemente definita da Marcel Mauss, cento anni fa.
Nell’intimità escludente della casa, il passo successivo ed inevitabile alla pulsione collezionistica si esprime nel gesto espositivo (salotto, cucina, ripostiglio delle scope, soffitta: tutte scene del teatro domestico) la cui colonna sonora è un “silenzio imperfetto”, forse. “Forse” perché tutto parla, anche le algide stelle …. La NASA, ad esempio, ha intrapreso programmi per tradurre i dati spaziali in rappresentazioni sonore.
E ancora,circa 3400 anni fa, uno dei famosi "Colossi di Memnom" dall'Egitto iniziò a "cantare" . Sì, secondo alcuni geroglifici , durante l'alba, una delle statue cominciò ad emettere un suono che durò per minuti . Il suono è stato descritto come un tono potente, ma in qualche modo misterioso, che lentamente svanisce. il motivo per cui la statua cantava effettivamente era dovuto al fatto che il calore che si produceva nelle prime ore del mattino faceva evaporare la rugiada intrappolata all'interno delle fessure della statua, provocando vibrazioni acustiche. che risuonava nell'aria del deserto d'Egitto.
Nel collezionismo, ogni oggetto rappresenta un pezzo di un puzzle più grande. Il "silenzio imperfetto" potrebbe anche indicare quel vuoto, quella sensazione di attesa o di desiderio che un collezionista prova quando c'è ancora un oggetto che manca per completare una collezione, o quando, pur possedendo tanti pezzi rari e significativi, si avverte comunque una sorta di "imperfezione" nell'intera raccolta. È come un silenzio che non è mai del tutto soddisfacente, perché c'è sempre una ricerca, un inseguimento di qualcosa che manca, qualcosa che potrebbe rendere la collezione "perfetta", ma che non è mai completamente raggiungibile. In questo senso, il "silenzio imperfetto" potrebbe anche essere interpretato come una riflessione sul fatto che il collezionismo, pur portando soddisfazione, non offre mai una completa "pace" interiore: c'è sempre quella ricerca, quella tensione verso l'oggetto mancante, che impedisce di raggiungere una quiete assoluta.
Torniamo a Ludwig : le “Philosophical Investigations” (mi ero ripromesso di non arrivarci ma poi ho ceduto alla tentazione) non inizia con un estratto da un'opera di filosofia teorica, ma con un passaggio dalle “Confessioni” di Sant'Agostino , in cui Agostino spiega come abbia imparato a parlare. Agostino descrive come gli adulti indicassero gli oggetti per insegnargli i loro nomi (lo fanno anche oggi, quando non sono tanto pigri da lasciar fare perfino questo allo smartphone). Questa descrizione illustra perfettamente il tipo di visione inflessibile del linguaggio che Wittgenstein afferma essere alla base della maggior parte delle confusioni filosofiche. In questa descrizione, dice, c'è "un'immagine particolare dell'essenza del linguaggio umano", e "in questa immagine del linguaggio troviamo le radici della seguente idea: ogni parola ha un significato. Questo significato è correlato alla parola. È l'oggetto per cui la parola sta". E’ confusivo collegare questo concetto a quello di “correlativo oggettivo” in poesia secondo T.S.Eliot? Forse sì, o forse non tanto.
Wittgenstein si occupa anche di fotografia e nel gigantesco lavoro di rielaborazione del “Tractatus” che verrà pubblicato dopo la sua morte, conclude imperativamente: "Don't think, but look!”
Non sapeva che il mondo intero lo avrebbe preso alla lettera, smettendo di pensare e mettendosi inutilmente ed a oltranza a guardare un display di 4,11 - e più - pollici. La quarta edizione delle Investigations,del 2009, di Hacker e Schulte (traduzione e curatela), ora è diventata, invece della Parte II, un'entità quasi indipendente – la filosofia della psicologia. Un grande frammento che viene considerato dai curatori il locus classicus di un termine chiave di Wittgenstein - "vedere aspetti" dove "vengono elaborati due usi della parola 'vedere'". Il secondo uso, in cui si "vede" una somiglianza in due oggetti, è quello che ha dato origine alla questione della percezione dell'aspetto e ai fenomeni concomitanti di aspetto-albeggiante[1] e cambiamento di aspetto. "Osservo un volto, e poi all'improvviso noto la sua somiglianza con un altro. Vedo che non è cambiato; e tuttavia lo vedo in modo diverso. Chiamo questa esperienza 'notare un aspetto'" . Vedere l'aspetto implica notare qualcosa di un oggetto - un aspetto dell'oggetto - che non si era notato prima e quindi vederlo come qualcosa di diverso. È importante notare che ciò si verifica anche come risultato di un cambiamento di contesto delle nostre percezioni. Fermiamoci qui e torniamo al nostro tema. La casa-museo del collezionista per quanto definita dalle infinite finestrature delle architetture moderniste per abbienti, resta sovente un hortus conclusus più vicino alla pratica dei compound nelle città della borghesia compradora del secondo e terzo mondo, che a quella dei monasteri medievali pur essendo sede di una pluralità di riti laici (Vedi “Prufrock” e più tardi “The Cocktail Party”, sempre per stare a Eliot) comunque bisognosi di protezione. Finita ( o quasi) la ubriacatura del white cube la casa del collezionista si ripropone come luogo ad alta intensità comunicativa, proprio come il museo contemporaneo di qualunque genere (dalla antropologia alla archeologia industriale) e forse, ancora di più, come luogo delle connessioni quasi sempre implicite perché intimamente legate alla vicenda personale del suo(i) abitante(i) sicché al visitatore resta oscura la logica dell’accrochage, sempre legata ai diversi momenti della vita del collezionista. E’ richiesta allora una abilità investigativa da non dare per scontata. A questo (s)proposito può essere interessante ricordare che Eliot riteneva una delle migliori detective story del primo Novecento, un romanzo Van Dine proprio perché Philo Vance era un conoisseur d’arte e non un poliziotto oppure un avvocato, come d’abitudine nella letteratura gialla. Ed Elioti di gialli se ne intendeva. Tuttavia può essere che si abbia bisogno di altri strumenti interpretativi e due tra i tanti mi sembrano più appropriati: i quadri sociali della memoria di Halbwachs e gli Atlanti di Warburg, entrambi superati dalla tecnologia e dai rivolgimenti sociali specialmente del XXI secolo, ma ancora brillanti in quanto a lucidità di analisi e a vastità delle conoscenze. E, alla fine, Eliot, Halbwachs, Warburg, Marx , Mauss, Milton, Sant’Agostino e Van Dine, sono tutti uomini d’onore e perciò mi hanno generosamente accordato il permesso per questo sproloquio. Quanto a Wittgenstein: se ne è andato al Trinity, per restarci non molto. Spirito inquieto sarebbe stato ottimo cliente di Flixbus.
[1] Biletzki, Anat and Anat Matar, "Ludwig Wittgenstein", The Stanford Encyclopedia of Philosophy (Fall 2023 Edition), Edward N. Zalta & Uri Nodelman (eds.), URL = <https://plato.stanford.edu/archives/fall2023/entries/wittgenstein/>.